"Povera umana gloria, quali parole abbiamo ancora per noi?” La mercificazione della letteratura al tempo della crisi della modernità

“Povera umana gloria, quali parole abbiamo ancora per noi?” La mercificazione della letteratura al tempo della crisi della modernità

di Elisabetta Fiume

Con lo sviluppo di sistemi editoriali sempre più complessi, si assiste a partire dal tardo Novecento all’estensione dello spazio d'influenza dell'editing rispetto al momento creativo, elemento che ha reso sempre più determinante la figura dell'editore al punto che lo scrittore e docente Alberto Cardioli ha notato come “l'originale d'autore” sia oggi solo un'espressione astratta e il testo che arriva al lettore può essere il risultato di molteplici interventi editoriali strutturali o contenutistici dell'opera; ma “di cosa parliamo quando parliamo di editing?” Ebbene l'editing è la pratica editoriale secondo la quale un testo viene analizzato da uno specialista al fine di eliminarne i presunti difetti formali e contenutistici. Eppure, oggi i testi sono spesso depauperati anche di tutti quegli elementi che potrebbero non essere conciliabili con talune logiche di mercato o in linea con i principi guida di una determinata casa editrice. Queste dinamiche non hanno risparmiato nemmeno autori unanimemente considerati classici: un esempio di assoluto rilievo riguarda Carlo Emilio Gadda e l'opera Eros e Priapo pubblicata nel 1967 con Garzanti, un'edizione che, a detta di Cardioli rappresenta « un caso paradigmatico, in negativo: il risultato degli interventi editoriali (compiuti con il consenso di un autore “estenuato, astretto dalla necessità di placare Garzanti”) è “un'edizione […] infida, regressiva, quasi postuma […] condotta con un pragmatismo empirico del tutto inadeguato alla complessità dell'impresa”.»  Parimenti l’autore statunitense Raymond Carver, i cui racconti in fase redazionale furono snaturati dall’editor Gordon Lish, il quale aveva intravisto in essi requisiti sufficienti per lanciare la corrente artistica del Minimalismo sul mercato letterario, reagì rivendicando la propria identità letteraria in un’appassionata lettera tesa ad annunciare all’editor i suoi nuovi racconti: 

«Ho scritto come se ne andasse della mia vita e come se non ci fosse un domani. E sappiamo entrambi che la prima cosa è vera e la seconda è una possibilità sempre aperta […] Però una cosa è sicura: i racconti di questa raccolta saranno più pieni di quelli dei libri precedenti. E questa, Cristo santo, è una cosa buona. [...] Però Gordon, Giuro su Dio e tanto vale che te lo dica subito, non posso subire l'amputazione e il trapianto che in un modo o nell'altro servirebbero a farli entrare nella scatola, di modo che il coperchio chiuda bene.»                               

Un altro soggetto che la filiera del libro vede emergere è quello dell'agente letterario, vero e proprio impresario che svolge il ruolo di tramite tra autore ed editore ed è ritenuto molto spesso l'artefice del mercato editoriale. L'iter prevede che lo scrittore si rivolga ad un'agenzia letteraria che valuta lo scritto e, se ci sono i requisiti, viene proposto dall'agente ad un certo numero di editori con cui intrattiene un rapporto privilegiato. Elemento da non sottovalutare è che oggi l'agente può chiedere all'autore delle modifiche prima ancora che il testo approdi sulla scrivania dell'editore per cui, se prima le revisioni redazionali concordate durante la realizzazione industriale del libro vedevano coinvolti i due proprietari legali dell'oggetto, autore ed editore, oggi di frequente si assiste ad un'alterazione del testo ancor prima che ci sia un contratto e questo pone l'autore in uno stato debolezza. Ovvia conseguenza è l'allontanamento tra i due punti estremi della filiera, l'autore e il lettore, cui distacco viene colmato da una serie di filtri impiegati a fini commerciali. Il primo, infatti, che sogna il proprio lettore ideale immaginandolo a sua immagine e somiglianza, dovrà fare i conti con la macchina editoriale che imporrà lui di rivolgersi al lettore reale, quello medio. Eppure, sarebbe lecito porsi l’interrogativo: è certo che il consumatore immaginato dagli addetti alla produzione sia più reale del lettore sperato dall'autore? Oppure è l'industria che costringe il pubblico ad adattarsi all'offerta?  E soprattutto, quanto è alta la perdita in termini etici se, mentre nella sua idealizzazione l'autore vuole perseguire l'interesse della edificazione morale, l'industria culturale invece si limita a proporre un'esperienza speculare adeguando la massa dei consumatori ai suoi esemplari più mediocri? Ma c'è un altro elemento su cui un editore deve calibrare le proprie politiche prima ancora che sul lettore reale: la figura del distributore, vero arbitro della filiera in quanto l’unico in grado di determinare i profitti di un editore e il successo dell’autore. Questo è senz'altro il tratto della catena nel quale il libro perde quasi totalmente il suo carattere letterario configurandosi come oggetto industriale inserito all’interno di un catalogo che viene valutato per poi essere collocato sul mercato e, in quanto tale, sarà utile evidenziarne i caratteri specifici: Gerard Genette nel suo libro Soglie, impiegava il termine paratesto definendo più specificatamente peritesto l'insieme delle informazioni che orientano e condizionano il lettore e dunque tutto quello che è parte integrante del libro materiale; definiva invece epitesto ciò che si riconduce ad una funzione promozionale come le interviste e gli spot pubblicitari. A dire il vero queste due dimensioni erano note anche in epoca preindustriale e già nei secoli della tradizione manoscritta venivano utilizzate per rendere più agevole la classificazione e la conservazione delle opere, ma con l'esplosione delle dinamiche industriali, questo passaggio ha visto accrescere il suo valore e si esplica oggi in quei compiti che, nel corso della produzione seriale sono affidati al packaging, cioè il risultato di quei provvedimenti, di decisioni quali la scelta del titolo e del sottotitolo, l'introduzione di una prefazione o una post-fazione di un altro autore o l'utilizzo di una fascetta che evidenzi alcuni giudizi positivi sull'opera, il cui obiettivo è catturare l'attenzione del lettore e stabilirvi una relazione visiva, esaltando un aspetto particolare del libro che, molto spesso, noi coincide con quello che l'autore avrebbe prediletto. Il rischio che tuttavia si palesa è che possa scomparire la nozione classica di collana: Il progetto di una collana prevede infatti la scelta di un formato e di una linea grafica che dovrebbe accomunare tutte le opere che vi sono incluse; questo principio è strettamente connesso con l'idea dell'editore umanista e cioè quella di un editore che, a dispetto dell’imperante processo di individualizzazione del libro che è in atto oggi, si aspetta che i suoi libri vengano scelti poiché sono i portavoce di un organico programma culturale. L'altro lato della medaglia è costituito dal libro elettronico che ha eroso una significativa porzione del mercato librario tradizionale: non ha un layout digitale universale e può cambiare in base al device utilizzato, motivo per cui è inconciliabile con il concetto di collana, ma soprattutto non è venduto dal Fornitore di contenuti e non è un oggetto posseduto stabilmente dal consumatore bensì viene concesso in licenza d'uso. La differenza tra possedere un libro e ottenere un ebook in licenza d'uso è, insieme alla chiusura degli ecosistemi aziendali, uno dei due temi fondamentali quando si parla di letteratura digitale. La prima differenza riguarda la fruibilità del prodotto: un libro cartaceo è un oggetto non duplicabile con facilità perché fotocopiarlo integralmente è un'operazione costosa e spesso, nel caso di testi protetti dal diritto d'autore, illegale. Al contrario, distribuire un testo digitale costa pochissimo. L'ebook è infinitamente riproducibile e non usurabile nel processo di duplicazione. Ancora, il libro elettronico è pratico: un dispositivo Kindle in soli duecento grammi di peso può contenere fino a un migliaio di esemplari e l’offerta è inesauribile. Urge però effettuare due riflessioni; la prima ci pone davanti al quesito: “Il fatto che sia diventato più facile fare o possedere una cosa significa che ne abbiamo davvero bisogno?” La seconda invece introduce l'altro tema fondamentale relativo alla letteratura digitale e cioè il principio di lock-in. Poniamo infatti che un lettore abbia acquistato mille libri elettronici per i Kindle e possieda su Amazon la sua biblioteca digitale; nel momento in cui egli dovesse decidere di non voler avere più utilizzare quella piattaforma, avrebbe di certo una brutta sorpresa dal momento che, se i suoi libri elettronici sono dotati di un dispositivo di protezione (chiamato genericamente DRM), non potrà trasferire la sua libreria digitale che inevitabilmente andrà perduta. Eliminando l'interoperabilità tra sistemi diversi, il lettore non può utilizzare il prodotto fuori da quell'ecosistema, né praticamente, né legalmente. Questo meccanismo non fa altro che rendere ulteriormente aleatorio il senso di libro nella sua accezione più pura, preludendo alla sua fluidità totale e alla scomparsa sul piano della realtà. Un'altra componente del capitalismo informazionale che sta conoscendo una pericolosa deriva è quello della spettacolarizzazione della letteratura. Stiamo parlando di un settore autonomo, quello dell'eventistica, il cui obiettivo dovrebbe essere mettersi al servizio degli interessi della letteratura e che invece è, nella maggior parte dei casi, lo scopo autoreferenziale dell'evento e questo, come testimoniano  le ricerche condotte negli ultimi anni che sottolineano come l'organizzazione di fiere, saloni, festival e premi incida in maniera tutt’altro che significativa su entrambe le filiere, quella della letteratura e quella del libro, ha delle inevitabili ricadute anche in termini qualitativi delle performance. In questa situazione è dunque opportuno ragionare sui nessi causa-effetto tra tali sviluppi e la crisi della modernità: la spettacolarizzazione della letteratura e il suo pieno assorbimento nelle logiche del mercato sono in parte da ricollegarsi al mutamento della figura dell'autore che cerca di reagire alla sua debolezza, la quale scaturisce dalla sua incapacità di rappresentare un mondo veloce e progrediente, dall'elevato numero di prodotti con cui deve competere e infine dal grande numero di stimoli a cui egli stesso è esposto. Per non essere soffocato dalla quantità di dati percepiti e per non sopperire alla sua inadeguatezza, ad un certo punto l'uomo moderno ha bisogno di anestetizzarsi mantenendo uno sguardo sommario e approssimativo delle cose, sviluppando un’attitudine, come Eugenio Montale scriveva negli Ossi di Seppia a non voltarsi e a incedere senza lasciarsi turbare dai fenomeni circostanti. Lo stesso sentimento tornerà poi nella raccolta più matura del 1971, Satura che, oltre al tema, riprende anche la linea prosastica già affiorante negli Ossi. E tuttavia l'allegorismo che pure persiste, non è più propositivo ma, come ha scritto Romano Luperini, prende atto del disvalore dilagante e attesta un coraggio di vivere che è ridotto ad un atto privato. Basti pensare al componimento Primo gennaio, poesia nella quale Montale si rivolge a un “tu” lirico incarnato da Laura Papi, giovane donna con la quale il poeta ebbe una frequentazione. I versi immortalano un confronto tra l’io dell’autore che conduce la narrazione poetica e che rappresenta l'approccio più critico e contemplativo alla realtà e la donna che invece, diversamente dalla Clizia idealizzata e ultraterrena, incarna una volontà di vivere che si esplica in vari modi; il divario tra lei e l'atteggiamento riflessivo del poeta è evidente sin dai primi versi:

«So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale, da un fuori che non c'è se mai nessuno l'ha veduto.

So che si può esistere, non vivendo

con radici strappate da ogni vento se anche non muove foglia e non un soffio increspa l'acqua su cui s'affaccia il tuo salone.

[…] So che mai ti sei posta il come – il dove – il perché, pigramente indisposta al disponibile, distratta rassegnata al non importa, al non so quando o quanto, assorta in un oscuro germinale di larve e arborescenze. 

[…] Uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti lo scheletro dell'albero di Natale, ti accompagna in sordina il mangianastri, torni dentro, allo specchio ti dispiaci, ti getti a terra, con lo straccio scrosti dal pavimento le orme degl'intrusi. Erano tanti e il più impresentabile 

di tutti perché gli altri almeno parlano, 

io, a bocca chiusa.» 

In questi versi il poeta descrive una giovane donna affaccendata in compiti ordinari che, in maniera meccanica, sgombera la casa dagli addobbi e dalle impronte degli ospiti, intrusi tra i quali figura il poeta. È chiaro che la percezione di intrusione ed esclusione descritta da Montale non si riferisca solo all’evento contingente, ma sia il sintomo della sindrome che affligge l’uomo moderno al quale non resta che prendere atto dell’abisso che si cela tra lui ed una realtà estremamente densa e al tempo stesso frammentaria e ancora tra lui e coloro che, diversamente da lui, si lasciano anestetizzare, cosa che lo indurrà sempre a percepirsi profondamente e irrimediabilmente escluso.

(D. Pegorari, Letteratura Liquida, Manni 2018. A. Cardioli, Le Diverse Pagine. Il testo letterario tra scrittore, editore, lettore, Il Saggiatore 2012. A. Gazoia Come finisce il libro, contro la falsa democrazia dell’editoria digitale, Minimum Fax 2014. E. Montale, Satura, Mondadori 2018.)


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