Autorialità. Un fatto storico

Autorialità: un fatto storico

di Umberto Di Bari


9 maggio 1921: al Teatro Valle di Roma va in scena la prima della commedia Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello messa in scena dalla compagnia teatrale di Dario Niccodemi.

L’articolo del Corriere riferisce di «una battaglia di pubblico» svoltasi a più riprese nell’intervallo tra secondo e terzo atto, tra i sostenitori dell’opera e i suoi detrattori. I contrasti sono stati così violenti da dare l’impressione che si fosse trattato di un comizio e non di una commedia. La reazione scandalizzata della borghesia di inizio Novecento alla commedia di Pirandello (così come era successo il 29 maggio 1913 a Parigi con la Sagra della Primavera di Stravinskij) è sintomo della crisi del Positivismo e dei valori tradizionali che si traduce nella fine dell’ordine letterario “classico” basato sulla sequenza pensiero-scrittura-rappresentazione con l’autore figura centrale. Ed è intervenuta anche la rivoluzione freudiana che, con la scoperta dell’inconscio, fa esplodere il disagio dell’individuo e la presa di coscienza del proprio essere fino alla dimissione dell’Io. È anche il caso dell’individuo-autore: questi prende coscienza della propria inadeguatezza, proclama la propria inettitudine e quindi l’incapacità di dare una forma completa ai sei personaggi.

Ma essi, pur se incompiuti, vanno ugualmente in scena sul palcoscenico della realtà.


Nel Decadentismo si esprime la CRISI DELLA SOGGETTIVITÀ e si palesa il disagio, l’inettitudine.

Guido Gozzano si sente inutile come poeta, inadatto al ruolo dannunziano di dandy, frequentatore di salotti e camerini. Vorrebbe, ci ha provato, ma non è capace. Esplode: «Io mi vergogno, sì: mi vergogno d’essere un poeta!». Cambierebbe vita dedicandosi all’attività «[…] ruvida concreta del buon mercante inteso alla moneta […]», potrebbe anche smettere di correre dietro alla poesia e calarsi nella realtà. Ma dichiara la sua incapacità. Campione dell’antifrasi, riesce a fare ironia sulla bellezza della signorina Felicita dagli «occhi fermi, l’iridi sincere azzurre d’un Azzurro di stoviglia»…

Fabrizio De André canta La ballata del Michè il cui protagonista preferisce andare a morte che ammettere di aver ucciso per gelosia. In Via del Campo ci vanno inetti che inseguono l’illusione di un matrimonio a pagamento. Il Cantico dei drogati è un lungo lamento di un drogato che per vigliaccheria ha rinunciato alla vita e vive la sua morte con un anticipo tremendo.


La fake era: quella della MOLTEPLICITÀ IDENTITARIA.

James Macpherson “inventa” (1761) di aver scoperto il poeta Ossian autore di un ciclo epico legato alla mitologia irlandese.

Romain Gary, scrittore francese vincitore del premio Goncourt (1956), in età matura considerata la crescente futilità della letteratura , si prende beffa del mondo accademico e inventa il suo alias Emile Ajar, giovane arrabbiato che nel 1975 vince lo stesso premio Goncourt col romanzo La vita davanti a sé. La critica elogia lo scrittore e aggiunge che comunque Ajar doveva qualcosa… a Gary! L’incontro con la “vera” identità di Ajar era rimandato a dopo la morte, quando la presunzione della vera identità non è più nulla.



Gli artifici di nascondimento: mascheramenti dietro cui nascondere la propria identità. Alcuni esempi.


AUTOFICTION

Gozzano nei Colloqui ricorre alla figura di un fratello muto che «ama e vive la sua dolce vita/non io che […]// Non vivo./ Solo, gelido, in disparate/sorrido e guardo vivere me stesso».

Questo fratello muto viene chiamato con lo stesso nome in forma diminuita: «guidogozzano». È anche lui un avvocato e scrive in prima persona. Guido affida a guidogozzano un ruolo dinamico, di lotta e conquista mentre riserva a Gozzano quello di cultore della letteratura, contemplativo, estraneo alle dinamiche della società.  


ANONIMIA

Impossibilità di risalire all’autore perché non possibile oppure volontà di proteggere l’autore da atti persecutori. Riferita ad un testo pervenuto senza firma e di cui è possibile fare l’identificazione solo per via filologica.

In questo caso non si può parlare di artificio di nascondimento.

Caso diverso è l’autore che sceglie di non nominarsi per sottrarsi ad azioni persecutorie.


IDENTITÀ SURRETTIZIE

Scrittrici che assumono identità maschili per acquisire credibilità; travestimenti del cognome. 

Mary Anne Evans pubblica col nome di George Eliot, utilizzando questo artificio anche dopo la scoperta del suo vero nome.

Le sorelle Brontë assunsero il cognome Bell e ciascuna un nome maschile con la stessa iniziale del proprio, ossia Charlotte > Currer, Emily > Ellis, Anne > Acton.


ETERONIMIA

Ricorso a nomi alternativi da parte di autori già noti col proprio cognome allo scopo di depistaggio o dissociazione da una linea editoriale già nota.

Domenico Gnoli, direttore di alcune biblioteche romane, pubblica in ortonimia opere di carattere scientifico e poi, giocando con le iniziali del suo nome (GD), pubblica opere poetiche.

Fernando Pessoa assume cinque distinte personalità, ciascuna con una propria poetica ed una biografia immaginaria (Alvaro de Campos, Ricardo Reis, Alberto Caeiro, Bernardo Soares).

Primo Levi con il nome Damiano Malabaila pubblica Storie naturali (1966), poi ripubblicati con l’ortonimo. Il nome fa riferimento all’insegna di una bottega che vedeva tutti i giorni andando al lavoro e Malabaila rimanda al latte di balia andato a male e quindi non nutriente. Ricordo di un mondo alla rovescia.

Un caso di eteronimia in campo poetico è Tommaso Pignatelli: nel 1995 pubblica una raccolta di poesie dal titolo Pe’ cupià o’ chiarfo. L’opera viene ben recensita sia da Natalino Sapegno che da Tullio De Mauro e inserita dall’italianista americano Luigi Bonaffini in un’antologia trilingue di poesia dialettale dal titolo Dialect Poetry of Southern Italy. La curiosità circa l’identità dell’autore si è spinta fino a supporre che si trattasse di un politico napoletano e precisamente il presidente emerito Giorgio Napolitano, notizia ovviamente sempre smentita.

Stesse modalità di nascondimento anche per alcuni autori come: Samuel Langhorne Clemens che usò il termine Mark Twain adoperato come pilota di battello fluviale per indicare “segna due braccia” di profondità; Eric Arthur Blair, nato in India, che adottò l’identità di George Orwell in onore del re d’Inghilterra e di un toponimo inglese.


COLLETTIVI

Collaborazione di più autori, compresa in un unico nome.

Omero: gli viene attribuita la paternità convenzionale dell’Iliade e Odissea, opere sicuramente scritte da autori diversi in epoche diverse.

Sveva Casati Modigliani: la scrittrice Bice Cairati ed il marito Nullo Cantaroni.

Honorio Bustos Domec: comprende Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares.

Wu Ming: gruppi di guerriglia mediatica mirante all’abolizione dei diritti d’autore.

Si sono poi affermati binomi di autori derivanti da collaborazioni consolidate nel campo della letteratura e della musica in cui i ruoli non sono nettamente delineati: Fruttero e Lucentini, Mogol-Battisti, Lennon-McCartney.


IL CASO ELENA FERRANTE

È ancora sconosciuto l’ortonimo di questa scrittrice: Anita Raja, traduttrice della casa editrice e/o, e suo marito lo scrittore Domenico Starnone? 

Un’indagine finanziaria e catastale sui due nominativi porterebbe ad individuare Elena Ferrante come un collettivo di entrambi oppure eteronimo di uno dei due.

Ma questo è importante ai fini della nostra analisi? No.

I romanzi di Elena Ferrante rappresentano la scomparsa definitiva della figura autorale così come definita dal canone. In La Frantumaglia, Ferrante afferma che i suoi libri devono essere percepiti come organismi autosufficienti perché la presenza dell’autrice non potrebbe apportare nulla di decisivo. Esiste solo «il mercato» editoriale: il libro viene trattato come un prodotto di consumo con la tecnica delle serie televisive (o romanzi d’appendice) che sollecitano nel lettore l’aspettativa per l’episodio successivo per scoprire... come va a finire.


Nel 1968, Roland Barthes in “La morte dell’autore” affermò che il senso dell’opera può prescindere dalla centralità dell’autore in quanto concetto legato alla ideologia capitalistica nata alla fine del Medioevo e via via confermata da Rinascimento, Illuminismo e dal canone borghese dell’Ottocento.

Il Decadentismo mandò in frantumi questo schema, sancendo la fine dell’autore per inettitudine dell’Io-auctor diventato egli stesso personaggio.

Oggi la filiera letteraria è concentrata massimamente sulla funzione editoriale: una produzione continua e vorticosa di “letteratura oggetto” che, come tutti i prodotti della società consumistica, va ad accrescere «il cumulo di scarti, montagne di rifiuti in attesa degli angeli-spazzaturai di Leonia che rimuovano i resti dell’esistenza di ieri che però vanno ad aggiungersi alla spazzatura dell’altro ieri».


Il REALISMO TERMINALE (da un intervento di Guido Oldani al Liceo Cairoli di Varese), movimento letterario fondato dal poeta Guido Oldani nel 2010 e ufficializzato in un Manifesto pubblicato nel 2014 a Torino, insieme a Giuseppe Langella e Elena Salibra. Il termine “Realismo” identifica la realtà odierna caratterizzata da una preponderanza di oggetti sui soggetti viventi sancendo la fine della soggettività, mentre con “Terminale” si esprime la visione finale di un processo di sovrapposizione delle popolazioni nelle città. Centrale è la similitudine rovesciata: nel linguaggio contemporaneo i paragoni con elementi della natura («occhi azzurri come il cielo») vengono sostituiti da paragoni con oggetti («veloce come un treno»). La natura intesa come un grande centro commerciale.

Brevi cenni del realismo terminale:

  • La società dello scarto: l’uomo come oggetto.

  • La corrente del Realismo Terminale ha come fulcro centrale proprio l’oggetto nel suo rapporto con il soggetto su cui ha preso il sopravvento.

  • Queste parti, nell’epoca dei consumi e della digitalizzazione, si sono rovesciate: non è più il soggetto a usare l’oggetto, non è l’uomo a gestire le cose ma queste a condizionarne le sorti.

  • La condizione dell’uomo contemporaneo è di oggetto tra altri oggetti con il rischio (concreto) di essere scartato.

  • La società contemporanea sta assumendo una nuova forma di società dei consumi: sorta per fornire strumenti che facciano crescere, si è trasformata in società del rifiuto e dello scarto. 

  • Vengono scartati e accantonati non solo oggetti brutti e demodé, ma anche tutto ciò che non si ritiene più funzionale alla logica del consumo, del tempo breve e brevissimo e quindi anche persone, esperienze e valori.

  • In questa logica, non c’è spazio per l’Io-Auctor.

Dal Manifesto breve del Realismo Terminale:

«La Terra è in piena pandemia abitativa: il genere umano si sta ammassando in immense megalopoli, le “città continue” di calviniana memoria, contenitori post-umani, senza storia e senza volto. La natura è stata messa ai margini, inghiottita o addomesticata. Nessuna azione ne prevede più l’esistenza. Non sappiamo più accendere un fuoco, zappare l’orto, mungere una mucca. I cibi sono in scatola, il latte in polvere, i contatti virtuali, il mondo racchiuso in un piccolo schermo.  È il trionfo della vita artificiale.

«Gli oggetti occupano tutto lo spazio abitabile, ci avvolgono come una camicia di forza. Essi ci sono diventati indispensabili. Senza di loro ci sentiremmo persi, non sapremmo più compiere il minimo atto. [...] L’invasione degli oggetti ha contribuito in maniera determinante a produrre l’estinzione dell’umanesimo. Ha generato dei mutamenti antropologici di portata epocale, alterando pesantemente le modalità di percezione del mondo, in quanto ogni nostra esperienza passa attraverso gli oggetti, è essenzialmente contatto con gli oggetti.

«[...] Ridiamo sull’orlo dell’abisso, non senza una residua speranza: che l’uomo, deriso, si ravveda. Vogliamo che, a forza di essere messo e tenuto a testa in giù, un po’ di sangue gli torni a irrorare il cervello. 

«Perché la mente non sia solo una playstation».

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