La libertà sostenuta da Pereira

La libertà sostenuta da Pereira

    di Gianluca Cannillo 

Lisbona, agosto 1938. Un Portogallo e un’Europa alle prese con i regimi totalitari, la paura e la consapevolezza di un conflitto imminente. In questo quadro rinfrescato dalla brezza dell’Atlantico – con una rappresentazione letteraria pura, cristallina e limpida – Antonio Tabucchi colloca Pereira, Monteiro Rossi, Cardoso e pochissimi altri personaggi in un romanzo che sembra quasi essere svuotato dall’interno: la sua algidità conduce il lettore nel clima distaccato della cronaca giornalistica del Lisboa.
Pereira sembra quasi portare con sé i pregi e i difetti della virilità trasandata degli antieroi di sesso maschile della letteratura europea: un uomo senza qualità, parente lontano dell’Antoine Roquentin sartriano, erede dell’inetto primonovecentesco. Un uomo, Pereira, costretto in un corpo. Un’anima costretta alla materialità. Una spinta evasiva verso la morte e la presunta redenzione, un’anima che tenta di ricongiungersi con quella dalla moglie defunta, un tentativo di autoconsunzione del proprio corpo: Pereira si presenta come un fuggitivo prima del tempo. Fugge dalla vita, dai legami, resta ancorato al passato, ma non sceglie la storia. Opta per il vago, per uno stato di inerzia in attesa della morte. Con una speranza, quella della resurrezione, che pone in moto tutta la vicenda. È il desiderio di conoscere la vita e la morte che lo porta a scrivere a Monteiro Rossi.
L’incontro con Monteiro Rossi accelera la pulsione cardiaca di un uomo ad alto rischio di malattie cardiovascolari: Monteiro, implicitamente, gli insegna l’arte della responsabilità e della cura, anche verso un’alterità non riconosciuta, non strettamente prossima. L’incontro con Monteiro sembrerebbe, in un primo momento, dunque, il motore dell’azione: all’interno di un contesto di un romanzo di formazione, Monteiro rappresenterebbe il momento della crisi e della crescita successiva. 
Pereira, infatti, da quando ha conosciuto Monteiro, inizia ad avvertire i presagi dell’orrore del regime salazarista, apprende che il suo lavoro – la sua pagina culturale di un giornale del pomeriggio – poco possono rispetto alla Storia: raccogliere necrologi e celebrare poeti vicini al regime iniziano a generare in lui un senso di nausea, di ribrezzo. Più che il suo lavoro, inizia a stargli a cuore la storia di Monteiro, le sue fughe, il suo nascondersi. Ma Tabucchi stupisce. 
A un certo punto Pereira deve recarsi per ragioni di salute in una clinica talassoterapica, dove incontra Cardoso, un medico con una spiccata formazione filosofica. Cardoso mostra a Pereira la teoria della confederazione delle anime: in ognuno di noi vivono molteplici anime, con idee diverse, desideri e pulsioni molteplici. Volta per volta un’anima prende il sopravvento sulle altre, si impone sulle sue federate e porta avanti un ideale in maniera più decisa. In sintesi, quello che sta succedendo a Pereira è un passaggio nuovo: un’anima incline alla vita, portatrice di valore resistenziale, desiderosa di giustizia e libertà sta avendo la meglio sulle sue anime compagne. Monteiro Rossi è dunque la causa dell’emersione di quest’anima: non si tratta, quindi, di un romanzo di formazione, ma d’un romanzo di educazione. Pereira ha già in sé l’idea del valore della libertà e della giustizia, occorre solo che qualcuno lo aiuti a conoscersi e questo qualcuno è Monteiro Rossi.
Pereira, conscio delle potenzialità di questa sua anima vitale, viene in contatto con la crudeltà della storia: Monteiro è brutalmente assassinato, in sua presenza, senza avere la minima possibilità di agire per difenderlo. È curioso vedere come, una volta raggiunta la piena consapevolezza di sé, dopo aver scelto quale ego seguire, dopo aver individuato la giusta maniera di sentirsi libero, sia proprio la Storia a negare a Pereira la possibilità d’azione. Ma, se la morte di Monteiro è causa di sofferenza e di angoscia in Pereira, questa è anche l’occasione per risorgere. Pereira inizia un cammino – da esule e da fuggitivo – di acquisizione della propria libertà. In primo luogo, compie un passaggio, dall’impegno estetico passa a quello etico, dalla pagina culturale del giornale passa alla cronaca, denunciando l’assassinio di Monteiro Rossi ad opera del regime e aggirandone la censura. In un secondo momento, come chiosa di tutto il suo incedere, Pereira sceglie di firmare col proprio nome l’articolo, cosa a lui nuova – aveva sempre scelto l’anonimato o la forma dello pseudonimo – arrivando a sostenere in prima persona di aver assistito ai fatti violenti.
È triste, però, vedere come l’acquisizione dell’identità di Pereira sia per lui l’acquisizione della condizione di esule: una volta nominatosi, dichiaratosi, liberatosi dalle sue stesse remore, Pereira deve fare i conti con false identità, passaporti fasulli e con un costante viaggiare. Il Pereira che sostiene è il Pereira che deve scappare e non può più essere. E allora qual è il margine della libertà personale in un contesto di oppressione?


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