Cellulosa e pagine libere. Il barone rampante.

 Cellulosa e pagine libere. Il barone rampante

di Gianluca Cannillo
Per poter al meglio raccontare, o, in qualche modo, estrapolare una parziale verità da un romanzo come Il barone rampante di Italo Calvino, è necessario leggerlo con la testa fra le nuvole, facendo camminare i nostri piedi su selciati nuovi, acrobatici e filiformi. È necessario lo sguardo di Biagio, fratello minore di Cosimo, che, con la quiete strada spianata del secondogenito, non può far altro che ammirare da lontano le rampanti vicende del barone. Noi siamo un po’, a distanza di anni, non tanto Biagio, quanto il suo sguardo che miscela la cura, l’affanno e quella sana invidia di una libertà mai ottenuta. Siamo lo sguardo di Biagio quando sfogliamo un Calvino: una distanza nostalgica per una verità detta troppo chiaramente.  
Il romanzo del 1957 appartiene a quel filone che la critica ha definito come più prossimo al regime favolistico di Calvino – nel compiuto trittico con il Visconte e il Cavaliere – ma Calvino subito smentisce qualsiasi impalcatura posteriore e semplice: il c’era una volta archetipico si scioglie in un cronotopo ancipite. La vicenda è ambientata fra le fronde di Ondariva, luogo fittizio a strapiombo sulla costa ligure, ma in un definito momento storico: «Fu il 15 giugno del 1767» (I. Calvino, Il barone rampante, Einaudi, 1957). La distonia dell’ambientazione e della narrazione favolistica con la precisazione di una data apre spiragli interpretativi. Innanzitutto, è necessario riferirsi alla macro-storia: Calvino reputa fondamentale collocare le vicende rampanti nel lasso di tempo a ridosso della Rivoluzione Francese, dell’avvento dell’Illuminismo, del suo fallimento, dell’ascesa Napoleonica e del suo stesso declino rendendo eterne quelle lotte e quelle querelle storicamente fondate. In secondo luogo, Calvino sceglie come data di avvio di tutta la micro-storia il 15 giugno. Calvino nasce il 15 ottobre e trascorre l’infanzia negli stessi luoghi che frequenta Cosimo, conosce le piante come le conosce Cosimo, ma ottobre è un mese troppo freddo – almeno lo era negli anni ’50 – per poter iniziare a vivere su un albero come uno sprovveduto. C’è un 15 giugno, così come c’è un 15 ottobre: c’è una data, un giorno, un momento nella vita di Cosimo e nella vita di Calvino in cui è possibile discernere e dire cosa c’è prima e cosa c’è dopo.  
Il barone Piovasco di Rondò appare in tutta la sua evidenza come un personaggio libero e indipendente e vive in tutto il racconto un processo di appropriazione della propria autocoscienza: Cosimo si muove con degli atti graduali fino a giungere alla compiutezza del sé, significando, quasi hegelianamente, lo stesso movimento dello spirito sintetizzato nella forma-Stato. Tutto inizia con un atto di ribellione: Cosimo si rifiuta di mangiare le lumache servite da Battista, come un dispetto degno di un ragazzino, come se fosse ciascuno di noi a tavola da bambino. Questo atto di ribellione, infantile e incosciente, si estende coerentemente lungo tutto il romanzo: alla ribellione si sostituisce la dignità; Cosimo non scende dagli alberi per evitare di tradirsi, di ricredersi e di vanificare la sua spinta libertaria. Liberi, del resto, sono i suoi primi compagni di fronde: i ladruncoli di frutta che, a differenza sua, non hanno il giogo del lignaggio a tenerlo stretto. La dignità di Cosimo va di pari passo con il suo orgoglio, ma non basta; l’atto di gelosa salvaguardia della propria dignità si traduce in un atto d’amore all’arrivo di Viola. Anche qui, sfidando la Sinforosa in una gara di algido orgoglio, rinnova il suo patto con le chiome: Cosimo non può più scendere dagli alberi per non screditarsi agli occhi di Viola. Tutto il processo, però, come il moto hegeliano dell’autocoscienza, trova sostanza, compimento e raggiunge pienezza di significato nel proprio riconoscimento di individuo politico inserito in un contesto sociale. A Cosimo scorre sotto il naso la nascita dello Stato moderno e lui, da lontano, dalla remota costa ligure, riesce a controllare, conoscere e approfondire la storia e le dottrine politiche del Mediterraneo e dell’Europa centrale.  
Cosimo matura in quanto uomo e in quanto uomo politico, si fa promotore degli ideali libertari ed egalitari della Rivoluzione francese importandola nella sua contea; si scontra con i disastri del Terrore giacobino, ammira Napoleone, ne apprezza la sconfitta, ma con una sola grande costanza: la sua coerenza, il suo saper far convergere democraticamente le istanze, le lamentele, le richieste del popolo in una grande orazione internazionale. Il percorso di Cosimo è, in tal senso, contemporaneamente ascendente e discendente: se sale su un albero per poter far sentire più forte la sua voce e quella del popolo minuto, allo stesso tempo discende dal suo censo, dalla sua nobiltà per potersi fare megafono, cassa di risonanza, quaderno di lamentela.  
Ma a significare ancora la libertà in questo romanzo vi sono due personaggi: Viola e Gian dei Brughi. Viola, Sofonisba, la Sinforosa è il pungolo costante per Cosimo, quel vincolo che accarezza e toglie il fiato, quella donna, carica di tutta la valenza letteraria dell’Angelica del Furioso, quella Sofonisba che genera l’alleanza fra cartaginesi e Numidi contro i romani, quella ragione di moto di Cosimo. L’amore che sussiste fra i due consiste in un complicato gioco di silenzi, reticenze e linee telefoniche interrotte. Il calviniano gioco dei punti di osservazione si traduce nel complesso gioco di espressione del sé: l’amore libero non se lo sanno dire né Cosimo, né Viola e il vincolo che entrambi impongono all’altro è una narrazione superflua, inutile, ma troppo forte. La gelosia e la volubilità si confondono e si combattono lasciando inermi i due innamorati e per Cosimo la vita senza Viola torna ad essere una grande distesa senza alberi, una piana che genera panico, solitudine, impossibilità di incedere. In particolare, è molto interessate notare un paragone biblico con la vicenda di Zaccheo. Zaccheo (Lc 19, 1-10) è il pubblicano che, per guardare Gesù che passava per le vie di Gerico, sale su un sicomoro. Gesù, dal basso, ma con una posizione di trascendenza superiore a quella del pubblicano, alza lo sguardo per conoscere Zaccheo. Un’immagine simile si ritrova in un passaggio del Barone, passaggio fondamentale perché sancisce la rottura del rapporto con la Sinforosa. Cosimo è su un albero, Viola è in basso, ma è Cosimo ad alzare lo sguardo per guardare in basso: in Cosimo, Viola, Zaccheo e Gesù c’è un gioco di sguardi che libera. Gesù libera Zaccheo, sollevandolo dalla sua condizione di peccatore e consentendogli l’accesso al messaggio della vita eterna; Cosimo e Viola si liberano reciprocamente del proprio rapporto complesso, indicibile, non consueto.  
Gian dei Brughi è invece il capo dei briganti, il più pericoloso bandito sulla cui testa pende una taglia altissima. Gian affascina Cosimo al punto da instaurare con lui un rapporto libero e di liberazione mediato dall’universo librario: Cosimo si fa biblioteca ambulante e garantisce a Gian dei Brughi di espiare le proprie colpe attraverso un processo di educazione alla conoscenza, alla lettura e alla cultura. Se Cosimo fugge dal suo contesto elitario, che forgia spiriti deboli per diventare un uomo dall’animo forte come una quercia, Gian vive un processo inverso: la vita che gli ha riservato colpi e che lo ha reso un bruto pericolo pubblico, gli viene sottratta quando il suo spirito si fa molle per le affascinazioni della letteratura. Calvino consegna qui un’immagine per noi fondamentale: la cultura come occasione di riscatto, di rinascita e, per chi ci crede, di vita eterna.  
La cellulosa di cui sono intrisi gli alberi generano in Calvino forti pagine di libertà, insegnandoci un valore squisito: la coerenza nel perseguire la libertà salvaguardando la propria dignità di uomini, senza sopraffare gli altri, consapevoli di potersi fare da parte, farsi piccoli, morire, guardare le cose con occhi diversi. Grazie, Cosimo. Grazie Calvino!

Commenti

Post popolari in questo blog

La letteratura che resiste

«Bestie da confessione». La liberazione della sessualità secondo Foucault

ControVerso... Chi siamo?