Malattia e ossessione in La morte a Venezia di Thomas Mann
Malattia e ossessione in La morte a Venezia di Thomas Mann
di Antonio Caruso
La morte a Venezia rappresenta uno dei romanzi più iconici e famosi dello scrittore tedesco Thomas Mann, in cui l’atmosfera decadente (l’opera è stata pubblicata nel 1912) si intreccia con quella romantica dell’ultimo Ottocento, dando vita ad uno spazio ed un tempo sospesi (d'altronde il romanzo è ambientato in un 19… non meglio precisato) su cui l’autore cala il velo della malattia e della perversione.
Il protagonista, l’ormai
nobilitato Gustav von Auschenbach, parte per Venezia a causa dell’assopimento
del suo animo creativo e non: dopo essersi dedicato completamente e
asceticamente all’arte, arricchendosi, rimasto vedovo, decide di concedersi una
vacanza. Sin da subito, la laguna vuole identificarsi come luogo di redenzione,
nonostante le assonanze “infernali” che accompagnano l’approdo di Gustav: il
gondoliere senza autorizzazione come novello Caronte, l’obolo pagato al suo
arrivo. Già questo basterebbe per immaginare il destino della laguna, che ben
presto si trasforma in un collerico inferno di perversione. Tale non può non
essere l’infatuazione di Gustav per l’imberbe Tadzio. Se è vero che il
protagonista sembra ritrovare nel giovane la sua ispirazione artistica, è
altresì vero che quest’ultimo sarà la causa della sua malattia. Tadzio diviene soggetto
poetico di una sintesi estetica che richiama la poesia ingenua e sentimentale
di Schiller, non meno le sue considerazioni sulla natura, a cui Gustav
sostituisce il giovane imberbe, contemplato simbolo di bellezza platonica. L’amore/perversione
di Gustav per Tadzio, però, spinge il protagonista ad inseguire il giovane per
le calli della laguna e a numerosi tentativi di ringiovanimento; il sentimento
capovolge l’intera esistenza di Gustav, travolto dai suoi istinti dionisiaci
che sconvolgono l’equilibrio apollineo della sua vita, fino al raggiungimento
della nuova consapevolezza, simbolicamente raggiunta dalle parole «ti amo» (T.
Mann, La morte a Venezia, Massa, 2022, pp. 70).
Il sentimento raggiunge
l’apice dell’ossessione amorosa quando Gustav si convince che il giovane Tadzio
lo ricambi (non va dimenticato che i due non si parleranno mai per tutta la
vicenda), a tal punto da rimanere a Venezia nonostante venga a conoscenza del
morbo che imperversa e che lo porterà alla morte; infatti, si può scorgere un
vero e proprio parallelismo fra l’ammalarsi di Gustav, l’acuirsi della sua
ossessione e perversione nei confronti di Tadzio e la diffusione del colera in
laguna (sottaciuta degli stessi abitanti).
La presa di coscienza di
Gustav può essere paragonata alla scoperta della diffusione del morbo da parte
di quest’ultimo (sarà un mercante di origini inglesi a raccontargli la verità).
La sua perversione, che scaturisce dalla scoperta delle sue “nuove” pulsioni,
gli impedirà persino di avvisare la madre del giovane (preoccupazione che per
un istante considera) delle condizioni igienico sanitarie della laguna,
nonostante egli sia consapevole della salute cagionevole di Tadzio (sin
dall’inizio del romanzo si insiste sulla sua probabile morte prematura). Gustav
decide consapevolmente, dunque, di godere della vicinanza del giovane a costo
della sua stessa vita: sarà perciò la sua perversione malata a condurlo alla
morte.
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