La romanticizzazione della tubercolosi: analogie e contrapposizioni da Dumas a Zolà

La romanticizzazione della tubercolosi:
analogie e contrapposizioni da Dumas a Zolà

 di Noemi Antonino

Nel libro La signora delle camelie di Alexandre Dumas (1848) il tema della malattia muove le vicende dei personaggi, influenzandone le azioni. 
La protagonista Margherita vive la malattia fisica e il titolo rimanda proprio ad una sua peculiarità, in quanto ogni volta che costei va a teatro, porta con sé gli occhialini, un sacchetto con dei dolci e un mazzo di camelie.
Le camelie che porta con sé possono essere o di colore bianco o rosso, questo perché Margherita è una "mantenuta" e con le sue camelie comunica in modo discreto quando è disponibile per gli incontri amorosi.
Alexandre Dumas nella costruzione di questo personaggio si è ispirato a una cortigiana realmente esistita, nota come Marie Duplessis, che è stata amante dell’autore e che esattamente come Margherita, è morta a soli ventitré anni a causa della tubercolosi, malattia infettiva che colpisce prevalentemente i polmoni.
La tubercolosi viene anche chiamata ‘malattia romantica’ prendendo così il nome dal periodo storico in cui si è maggiormente manifestata, ovvero il diciannovesimo secolo, ma viene anche chiamata, più banalmente, ‘male di vivere’.
Si pensava, nel 1800, che soffrire di tubercolosi concedesse al malato una sensibilità nascosta e della malattia si coglievano alcuni aspetti positivi, in quanto la sua lenta progressione concedeva, secondo la gente del tempo, una buona morte, perché consentiva alle vittime di mettere ordine nei loro affari, come farà per l’appunto Margherita.
Secondo lo storico americano Carolyn A. Day tra il 1770 e il 1850 ci fu una sorta di esteticizzazione della tubercolosi che si intrecciava con la bellezza femminile, ma sia giovani donne che giovani uomini della nobiltà imbiancavano volontariamente il loro volto per essere definiti malati.
Byron nel 1828 riportò nei suoi scritti il suo desiderio di morire di tubercolosi, mentre Chopin veniva definito come ‘tisico amante’, ovvero colui che tossisce con grazia. Insomma, la tubercolosi, anche chiamata ‘tisi’, veniva edulcorata in tutti i suoi aspetti ed era addirittura considerata come qualcosa da augurarsi.
La prospettiva della malattia spirituale che redime ha continuato  ad essere esplorata e approfondita, pensiamo ad esempio al film Moulin Rouge del 2001 basato, in parte, sulla Traviata di Verdi, che a sua volta si basa sulla Signora delle Camelie di Dumas.
Margherita dice: «Ora io sono malata e di questo male posso morire: ebbi sempre il presentimento di morire giovane. Mia madre è morta di mal di petto. Il mio modo di vivere fino ad oggi non ha potuto che peggiorare questa tendenza, la sola eredità che lei mi lasciò…».
Da queste parole cogliamo un senso di solitudine e tristezza che prova la protagonista, ma soprattutto comprendiamo che la sua malattia non è data dalla sua condizione di "mantenuta", ma dallo stile di vita pieno di eccessi che la protagonista conduce, ovviamente per sanare la "malattia della solitudine".
A Parigi nel 1836 viene pubblicata l’opera del medico francese Alexandre Jean-Baptiste Parent-Duchâtelet, la quale analizza il rapporto tra prostituzione e sifilide. La prostituzione, per il medico, è uno dei più gravi mali sociali, in quanto sono proprio le prostitute a rappresentare il mezzo di trasmissione della sifilide, la più pericolosa e temibile delle malattie che affliggevano specialmente la società dell’epoca. Di qui nasce la necessità, secondo il medico francese, di sottoporre le prostitute a sorveglianza, utilizzando anche metodi estremi.
Solo tra il 1860 e il 1870 in tutta Europa vennero approvate delle norme che regolamentavano il fenomeno della prostituzione. Tali sistemi prevedevano che le meretrici si registrassero presso l’autorità di polizia e si sottoponessero a visita medica e controlli per accertare la presenza di malattie.
Ci furono spesso cortigiane influenti e potenti, pensiamo ad esempio a Madame de Pompadour (1745), giunta alla corte di Versailles come nuova amante del re Luigi XV, e che influenzò arti, moda, teatro e fu protettrice di celebri illuministi che avrebbero rivoluzionato il pensiero e la storia francese.
Nonostante la fama e l’importanza di alcune di queste donne, costoro venivano comunque identificate come donne di mal costume e la loro morte veniva descritta come triste e solitaria, come vediamo con Margherita.
Ma Margherita non si può salvare dalla sua malattia, è destinata a morire in quanto, qualora voglia curarsi, non ha la possibilità di avere denaro, perché la società del tempo la vede unicamente in quel modo e non le offre occasioni per cambiare vita.
Margherita è consapevole di quello che è e di come la società la veda, ma apprezza chi riesce ad andare oltre il pregiudizio, ovvero Armando, l’unico uomo da lei amato. Il sentimento che li lega in una prima lettura del romanzo mi è apparso come troppo semplicistico e surreale, ma in seguito ad un’analisi più approfondita sono riuscita a cogliere un reale legame, valorizzato soprattutto dalla protagonista che ama e apprezza Armando perché è l’unico che ha capito il dolore da lei provato a causa della sua malattia, ed è anche l’unico ad esserne dispiaciuto veramente.
Armando ama veramente Margherita e riesce a cogliere aspetti che gli altri non colgono, lui non vuole sfruttarla, a differenza dell’amica di Margherita, Prudenza, che invece la frequenta per riceverne un tornaconto monetario.
Anche nel testo di Zolà, Nanà, (1880), la protagonista muore di tifo e solitudine, però senza aver mai conosciuto l’amore.
Dumas e Zolà hanno la stessa concezione della società borghese, però Zolà conduce una critica più aspra e più marcata, mentre Dumas una più celata; questo lo possiamo cogliere dal fatto che il romanzo di Dumas è molto sentimentale, non ci sono descrizioni crude, i termini che utilizza non sono pungenti o espliciti: infatti per indicare la mansione della protagonista, preferisce utilizzare il termine "mantenuta" che è elegante, non troppo chiaro, anziché utilizzare un termine come "prostituta" che invece può sembrare più diretto.
Zolà critica la prostituta sentimentale\angelo designata da Dumas, rivendicando la figura di Nanà come più realistica e veritiera; l’autore vede la realtà in modo cinico, e la prostituta da lui descritta ha anche lei un atteggiamento cinico.
Invece Dumas rivendica la figura di Margherita, in quanto possiamo dire che ci abbia visto del vero, considerando che si è ispirato ad una sua amante per la costruzione del personaggio.

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